In un bianco e nero povero come solo nel 1992 della repubblica asiatica del Kazahkstan si può proporre senza vezzo e malizia, sfilano i pali della luce interminabilmente. Visti dal treno, mentre percorre quella steppa altrettanto infinita.
Vita allora di Kairat, giovane apprendista alle prese con dei primi amori, e dei primi mestieri: non poi cosi diversi da quelli dei suoi coetanei in technicolor. Mentre il film di Darejan (un esordio con Leopardo d'argento e premio Fipresci) procede come quei pali, a passi piccoli, uno dopo l'altro. Osservazioni leggere, che vengono a graffiare la noia se non la disperazione di una vita ai margini del benessere, ma non dei sentimenti.